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Messaggio Da raffaele43 Gio Set 29, 2011 4:51 pm

Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 - Milano, 22 maggio 1873) è stato uno dei maggiori scrittori e poeti italiani.

Il celeberrimo romanzo de I promessi sposi è la sua opera più conosciuta; è ancor oggi considerato un caposaldo della letteratura italiana: per dare vita alla sua stesura finale, l'autore disse di essere dovuto andare a sciacquare i panni in Arno. Con ciò assumeva che quella che stava per dare alle stampa era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana.

Il nonno materno di Manzoni, Cesare, marchese di Beccaria-Bonesana, era un autore ben conosciuto (scrisse il trattato Dei delitti e delle pene posto nell'indice dei libri proibiti), e anche la madre Giulia (1762-1841) era una donna con qualità letterarie.

Il padre ufficiale del Manzoni - Don Pietro (1736-1807) - era ormai sulla cinquantina quando il futuro scrittore e poeta nacque, ed era membro di un'antica famiglia stabilitasi vicino a Lecco ma che in origine esercitava un duro controllo feudale su Barzio, in Valsassina (con una violenza paragonata a quella di un torrente di montagna, come ancora ricorda un proverbio locale). In realtà il suo vero padre è Giovanni Verri (fratello minore di Pietro e Alessandro Verri), come conferma una lettera a lui inviata da Giuseppe Gorani ritrovata recentemente dopo tenaci ricerche da Piero Campolunghi.

In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1792 convive con il colto e ricchissimo Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia), Alessandro Manzoni dal 1790 al 1803 viene educato in collegi di religiosi, prima presso i padri Somaschi, poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, egli da tali studi deriva una buona formazione classica ed il gusto letterario. A quindici anni sviluppò una sincera passione per la poesia e scrisse due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose ed universali.

Il giovane Manzoni dal 1803 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo, ma ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, il Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici, nonché dell'esigenza di moralizzazione nella società. A questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio.

Nel 1805 raggiunse la madre ad Auteuil, dove passò due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fece molti amici, in particolare Claude Fauriel ed ebbe modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) ed assiste all'evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche.

Fondamentale è l'incontro con il critico e filologo Claude Fauriel (1772-1844) elaboratore delle dottrine romantiche, con Il quale il Manzoni stringe una duratura amicizia. Per mezzo del Fauriel il Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca, prima ancora che Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non avrebbe mai più scritto versi simili, aderendo alla poetica romantica, che sosteneva che la poesia non deve essere destinata ad una colta e raffinata élite, bensì deve essere di interesse generale ed interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori.

Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento ed a una controllata espressione formale, caratteristica di tutto il nostro romanticismo.

Solo dopo il matrimonio, sotto l'influenza della moglie, passò al fervente cattolicesimo che colorò la sua vita successiva.

Nel 1806-1807, mentre era ad Auteuil, apparve per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in stile classico, del quale poi lui stesso diventò il più strenuo avversatore; l'altro, invece, una elegia in versi liberi, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, ereditò un patrimonio considerevole, compresa la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.

Nel 1810, il Manzoni, già anticlericale per reazione all'educazione ricevuta ed indifferente più che agnostico o ateo riguardo al problema religioso, si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinista Enrichetta Blondel di Casirate, figlia di un banchiere genovese; il matrimonio si rivelò felice. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio) porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro ad un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810).

Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portsno alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità.

Persa quindi la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni quindi l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede conciliandola con la fermezza intellettuale.

La sua energia intellettuale immediatamente successiva alla conversione fu impegnata nella composizione degli Inni sacri, una serie di liriche sacre, ed un trattato sulla moralità cattolica, compito intrapreso sotto guida religiosa, in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.

Nel 1818 dovette vendere il patrimonio ereditato dal padre, dal momento che gli affari erano andati molto male a causa di un agente disonesto. La sua generosità si vide in questa occasione da come si comportò con i paesani, che erano fortemente indebitati con lui. Non solo cancellò sui due piedi la registrazione di tutte le somme che gli erano dovute, ma disse anche che tenessero per sé l'intero raccolto di granoturco che ci sarebbe stato.

Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che - violando coraggiosamente tutte le convenzioni classiche - generò una viva controversia. Un articolo pubblicato su di una importante rivista letteraria lo criticò severamente, d'altronde fu addirittura Goethe che replicò in sua difesa.

La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell'anno, uniti all'imprigionamento di molti dei suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni, ed il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici in cui cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.

Intanto, attorno all'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Bernardino Visconti, iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale dei Promessi sposi, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1825 ed il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando ad un tratto una grande fama letteraria all'autore.

Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia, e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca.

In seguito Manzoni, laboriosamente, rielaborò I promessi sposi facendo uso dell'italiano nella forma toscana, e nel 1840 pubblicò questa riscrittura, assieme all'opera La storia della colonna infame, che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo precedente. Scrisse anche un breve trattato sulla lingua italiana.

La fine della vita di Manzoni fu rattristata da molti dispiaceri. La perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei suoi figli tra cui la primogenita Giulia, moglie di Massimo D'Azeglio, e da quella della madre. Nel 1837 sposò la seconda moglie, Teresa Borri, vedova del Conte Stampa. Egli sopravvisse pure a quest'ultima, mentre dei nove bambini nati dai due matrimoni solo due morirono successivamente al padre.

La morte del figlio maggiore, Pier Luigi, il 28 aprile 1873, fu il colpo finale che accelerò la fine; egli cadde ammalato immediatamente e morì di meningite cerebrale, il 22 maggio. Ci fu grandissima partecipazione al solenne funerale tenutosi a Milano, erano presenti anche i principi e tutti i grandi ufficiali di stato. Nel 1874 Giuseppe Verdi compose la Messa di requiem, nell'anniversario della morte, per onorare la sua memoria.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni furono pubblicate da Giovanni Sforza nel 1882.
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